Le Madonnelle del quartiere


Sant’Agata e Sant’Omobono

Liberatemi dai fulmini e dal tuono,

dall’acqua e dal fuoco,

e dalla morte improvvisa

                    (Preghiera spontanea)

 

Mentre le “Madonnelle stradarole” esistenti nel centro della città, hanno ricevuto, nel corso del tempo, diverse attenzioni e il loro ruolo nella religiosità popolare è largamente riconosciuto, altrettanto non si può dire per le analoghe edicolette (certamente di minor pregio artistico, ma qui non è quello l’argomento che si vuole esaminare), diffuse nel resto del tessuto edilizio cittadino. Anzi, probabilmente, tranne che nei casi in cui tali nicchie sono assai evidenti (è il caso di quelle di piazza Camillo Re e di via Alfredo Baccarini, all’Alberone, queste edicole, posizionate quasi sempre negli spigoli delle costruzioni o appena sopra il portone d’ingresso, sono in molti casi sconosciute ai passanti che attraversano frettolosamente la città, se non a molti dei nuovi inquilini degli edifici dove le stesse sono localizzate.

Ciò naturalmente è vero anche per quelle edicole presenti nel nostro quartiere e nelle aree limitrofe. Ed è vero anche per una di queste, quella dell’immagine del Sacro Cuore esistente all’angolo tra via Camilla e Pastore Faustolo, che sarebbe stata capace di compiere addirittura un miracolo, nel giorno del bombardamento di Roma. Come è noto, il 19 luglio del 1943, Roma fu bombardata dagli Alleati. San Lorenzo fu il quartiere più colpito dal primo bombardamento degli Alleati, mai effettuato su Roma, insieme al Tiburtino, al Prenestino, al Casilino, al Labicano, al Tuscolano e al Nomentano. Ben 4.000 bombe (circa 1.060 tonnellate) sganciate sulla città provocarono circa 3.000 morti e 11.000 feriti, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti nel solo quartiere di San Lorenzo. Durante l’operazione, un bombardiere, nel tentativo di neutralizzare una postazione antiaerea posizionata sulla via Appia, sganciò una bomba che finì a pochi metri dal punto in cui sorgeva la costruzione che ospitava l’immagine. La fortuna volle che l’ordigno cadesse in una zona fangosa e che esplose scaricando la sua forza distruttrice verso l’alto. L’unico danno fu al cancello del villino. L’evento miracoloso fu attribuito proprio all’immagine, incastonata all’angolo della costruzione. La statuetta, a causa del bombardamento, venne decapitata da una scheggia. Demolito il villino la statuetta, restaurata, fu collocata nello stesso posto nel nuovo fabbricato costruito al posto del preesistente edificio.

Queste edicole, alle quali abbiamo voluto assimilare alcune statue della vergine poste sotto le arcate dell’Acquedotto Felice e di quello di Claudio o nel quartiere di Tor Fiscale, durante gli anni ’50 e ‘60, ad opera degli abitanti dei borghetti allora esistenti in questi luoghi, rappresentano la testimonianza di una religiosità popolare ancora viva, molto lontana dalla secolarizzazione attuale, nella quale non va affatto letta sbrigativamente una passività e un rifugiarsi nella “superstizione, quanto la capacità delle classi subalterne, di ricavarsi spazi “autonomi”, dove esprimere i propri sentimenti.

Nell’individuare figure come la Madonna e alcuni santi, ritenuti “più vicini” alle condizioni di vita delle donne la prima e del popolo i secondi e perciò meglio in grado di capire le difficoltà e consolare, di fronte alle sofferenze della vita concreta, si rivelano, infatti, oltre alle emozioni, la volontà di resistenza ai diktat delle gerarchie ecclesiastiche che, non a caso, non hanno lesinato, nel tempo, interventi, tesi a regolamentare se non esplicitamente a contenere questo tipo di devozione. Uno di questi “interventi”, risale addirittura ad un documento redatto ad hoc nel corso del Concilio di Trento, nella sessione XXV del 3-4 dicembre 1563, nel quale si prescrisse che:

“le immagini di Cristo, della Vergine Madre di Dio e degli altri Santi devono essere collocate e custodite nelle chiese; esse devono essere onorate e venerate, non tanto perché gli si debba riconoscere una forma di divinità o virtù degne di venerazione, o perché gli si vuol chiedere qualcosa, o stabilire con loro una confidenza come un tempo facevano i pagani che riponevano in esse le proprie speranze in quanto idoli, ma perché l’onore che viene loro reso si riferisce ai prototipi che esse rappresentano”

Traspare chiaramente nel testo, dietro alla volontà di regolamentare il culto delle “immagini sacre”, la volontà di riservare saldamente nelle mani della gerarchia il rapporto con la divinità, come più esplicitamente esprime in un suo scritto, di qualche secolo più tardo della prescrizione citata, ben più “brutale” il cardinal Silvio Antoniano, nel quale è delineato il profilo del cristiano esemplare:

“falsi profeti e falsi evangelisti [non sia] officio del laico, dell’idiota, dell’artigiano e della femminetta il voler disputar sottilmente delle cose della nostra fede, né arrogarsi il luogo del maestro. Il buon Christiano non ha da cercare curiosamente molte cose sopra la sua intelligenza, ma ha da credere semplicemente quello che la Santa Chiesa madre nostra ci propone e in questa santa semplicità sarà salvo, conciosia che per andare in paradiso non farà bisogno di molta dottrina, ma di molta carità, umiltà et obedienza”. (1)

Insomma, come del resto è ben noto, il rapporto con la divinità e la lettura delle Scritture, almeno per la Chiesa cattolica, deve passare per la mediazione di chi è in grado di intendere il significato delle scritture e di spiegarlo a chi non ha questa padronanza che deve restare al suo posto, senza pretendere di accedere autonomamente a tali realtà.

C’è da dire, del resto, che proprio sul punto della molteplicità di figure “divine” la Chiesa cattolica aveva voluto manifestare una forte discontinuità con il paganesimo. Un paganesimo, sul quale ironizzava fortemente sant’Agostino nella sua Città di Dio, dicendo che non capiva perché i pagani non avessero concentrato su Giove tutti i poteri di cui dovrebbe disporre un dio sovrano, e li avessero frammentati in una miriade di divinità minori estremamente specializzate. “Tra queste v’è chi “protegge le culle e si chiama dea Cunina, porge le mammelle ai bimbi sotto il nome di dea Rumina, dà loro da bere sotto il nome della dea Potina; si chiama Voluptia dal piacere, Agenoria dall’agire, Numeria in quanto insegna a contare, Consolo dà i consigli, Senzio infonde…”

Nonostante la nettezza e l’autorevolezza delle posizioni delle gerarchie, la religiosità popolare ha, però, continuato, per secoli, ad individuare figure di “mediazione” avvertite come più prossime, cui rivolgersi per condividere dolori e difficoltà. In questa ricerca, non di rado, si è arrivati a stravolgere l’immagine di alcuni santi.

Esemplari, sono sotto questo punto di vista, la rielaborazione della figura di sant’Antonio abate e della Vergine di Guadalupe.

Sappiamo dalla biografia: “Vita di Antonio”, scritta da Atanasio, vescovo di Alessandria che Antonio (251-356), era un eremita ritiratosi nel deserto egiziano, per dedicarsi alla preghiera e al digiuno. Un santo austero e severo. La sua immagine subirà, però, nel corso dei lunghi secoli che attraversano il Medioevo, una profonda metamorfosi che lo condurrà a trasformarsi nel santo delle stalle e dei contadini. Tutto inizia con la “scoperta” dei resti del santo nella seconda metà del VII secolo, su indicazione diretta dell’arcangelo Gabriele. Le reliquie di sant’Antonio sono trasportate a Costantinopoli nel 635 e poi a Saint Didier in Francia, all’interno di una chiesa consacrata da papa Callisto II nel 1119. Solo qualche decennio prima, era stato istituito l’Ordine dei Monaci Ospedalieri di sant’Antonio. Nel 1491, le reliquie vengono trasferite a Saint Antoine di Viennes. È qui che in collegamento alla guarigione dal “fuoco di sant’Antonio” (herpes zooster), dilaga la devozione principale. Il numero di malati che ricorrono al santo taumaturgo diviene così elevato che fu necessario costruire apposite strutture ospedaliere e impegnare l’Ordine degli Antoniani per la cura e l’assistenza dei pellegrini. Il simbolo dell’Ordine fu il bastone con l’impugnatura a T (tau) che il santo portava nel deserto. Inoltre, poiché il fuoco di sant’Antonio veniva curato con il grasso di maiale, si diffuse la consuetudine di allevare i maiali in libertà: essi potevano circolare negli abitati con un campanello di riconoscimento al collo e venivano nutriti dalla popolazione. Il fuoco, il bastone, il campanello, il saio monastico e il maiale ai piedi divennero in tal modo, i principali simboli devozionali legati al culto di sant’Antonio, sempre presenti nelle immagini e nelle statue del santo, “trasfigurato” rispetto all’originaria, severa, immagine tramandataci dalla storia dell’arte, in cui compare nell’atto di difendersi dalle tentazioni della carne cui viene sottoposto dal demonio.

Ma la trasfigurazione è così forte che non si arresta nemmeno davanti a questa trasformazione. Basta ascoltare una delle numerose versioni della canzone popolare “Sant’Antonio, allu desertu” (qui nella versione di Amalia Rodriguez), per accorgersi di come il santo affronti la lotta compiendo gesti quotidiani (sant’Antonio allu diserte se magnea ‘li maccheroni/Satanasso pe dispetto je freghette li furconi/sant’Antonio nun se lagna/cojje mani se ji magna!), gesti, cioè, che tutti possono compiere. Insomma “sant’Antonio è uno di noi!”, possono esclamare, finalmente, con entusiasmo, i contadini italiani.

Altro esempio, di come i subalterni possano rivestire con i loro sentimenti i simboli dei dominatori, è quello della vergine di Guadalupe. I frati domenicani e francescani che accompagnavano i conquistadores portarono nel nuovo continente, i loro santi, sostituendo i loro culti a quelli delle divinità locali. I nativi reagirono con un processo che, nel tempo, li condusse ad appropriarsi, attraverso un riadattamento delle figure e dei riti imposti. La rielaborazione di tali figure si spinse fino alla creazione di nuove entità che, addirittura, si opponevano a quelle degli invasori. Il caso più evidente è proprio quello della Vergine di Guadalupe. La sua apparizione ad un nativo convertito al cattolicesimo, avvenne sulla stessa collina prossima a Città del Messico, sulla quale gli autoctoni adoravano Tonantzin (Pacha Mama, “Nostra Madre”), l’importante dea-madre degli atzechi. È evidente il disegno di sovrapporre una nuova “Nostra Madre” a quella originaria, sostituendola nell’adorazione dei nativi. Ma i nativi andarono oltre: si appropriarono della Vergine, trasformandola nel simbolo della propria identità e facendone la versione cristiana della “Nostra Madre Tonantzin”. La Madonna di Guadalupe era diventata la Vergine dei vinti! Con una singolarissima “inversione”, poi, il suo santuario sarebbe arrivato a diventare la sede del “trono su cui S.Pietro troverà riposo alla fine dei Tempi”.

Una “traccia” ancora più “estrema” da seguire, per comprendere la forza della devozione popolare, la sua capacità di crearsi figure di mediazione con il sacro e rintracciarne i canali di diffusione, è quella dei numerosi “santi popolari” esistenti in Sudamerica. Vediamone due argentini: la “Defunta Correa” e il “Gauchito Gil”.

La prima, donna di straordinaria bellezza, secondo una delle versioni più accreditata, viveva intorno al 1800, nella provincia di San Juan, in Argentina.

Il suo nome era Deolinda. Felicemente sposata e incinta. In coincidenza della nascita del bambino, il marito dovette, però, arruolarsi nella guerra di Indipendenza del Paese. Approfittando della solitudine della donna, in molti iniziarono a molestarla. Deolinda, per sfuggire ai tormenti, fu costretta a scappare di notte, con il suo bambino tra le braccia.
Nella fuga, consumò tutte le scorte di acqua e di cibo, vagò per aride valli, cercando inutilmente aiuto. Alla fine, stremata e sentendosi morire, invocò il Signore, chiedendogli la grazia di poter continuare ad allattare il piccolo, anche dopo la sua morte. Qualche giorno dopo, alcuni gauchos si trovarono davanti al cadavere della donna, con il bambino attaccato al suo seno, ancora vivo.
Immediatamente la tomba di Deolinda, a Vallecito, si trasformò in meta di pellegrinaggio. Sul luogo fu eretto un Santuario e gli altarini dedicati alla “beata” si diffusero lungo le strade di tutta l’Argentina, in particolare nelle zone più remote e disabitate.
Grandi o piccoli, riccamente decorati o spartani, tutti gli altari, hanno al loro interno una statua della “Defunta Correa mentre allatta il figlio. Fiori, ex-voto, dolci ma, soprattutto, bottiglie di acqua, a ricordare che Deolinda è morta di sete, circondano la base della scultura della “santa”, eletta protettrice dei viaggiatori, soprattutto dei camionisti, che spesso si fermano, lungo le “carreteras”, a porgere omaggio a Deolinda.
Lungo le strade dell’Argentina è possibile vedere anche altri “altarini” colorati, caratterizzati dalla statuetta o dal ritratto di un uomo con i lunghi capelli, un bel paio di baffi, un foulard rosso annodato al collo e una camicia celeste: è il Gauchito Gil.
Anche qui siamo di fronte ad una figura leggendaria. Anche qui le versioni divergono. Il vero nome del Gauchito, presumibilmente nato nella zona di Pay Ubre, oggi Mercedes, Corrientes, intorno al 1840, e morto l'8 gennaio 1878, era Antonio Mamerto Gil Núñez. L’uomo era un bracciante agricolo che lavorava in un ranch, devoto credente nell’altro santo popolare San La Muerte. La proprietaria del ranch, una ricca vedova di nome Estrella Diaz Miraflores, si innamorò di lui, ma, quando i suoi fratelli e il capo della polizia locale (anch'egli innamorato della donna), scoprirono la relazione, lo accusarono di rapina e cercarono di ucciderlo. Egli, allora, si arruolò nell'esercito, combattendo contro l'esercito paraguaiano, distinguendosi per il coraggio. Alla fine della guerra, quando il giovane tornò a casa, fu accolto come un eroe.

Subito dopo, però, venne di nuovo reclutato, a forza, dai Colorados per combattere nella guerra civile argentina contro i partiti liberali. Lui, però, stanco di guerre, disertò, diventando un fuorilegge. Le sue gesta, a protezione dei bisognosi e dei poveri, gli conferirono presto grande fama: assunse poteri curativi miracolosi, la capacità di ipnotizzare e l’immunità ai proiettili.

Le sue imprese durarono fino a quando, la polizia, guidata dal colonnello Velazques, mise loro fine. L'8 gennaio 1878, i gendarmi sorpresero il ribelle, nascosto in una foresta e lo arrestarono, riconducendolo, in manette, vicino a Mercedes. Torturato sul fuoco e appeso ad un albero di algarrobo, gli fu annunciato che sarebbe stato giustiziato. Prima che il comandante lo uccidesse, Gauchito Gil rivolse al suo aguzzino le seguenti parole: "Tu mi ucciderai, ma stasera stessa, arriverà a Mercedes una lettera con la mia grazia. Nella lettera ci sarà scritto anche che tuo figlio sta morendo per una strana malattia. Se preghi e mi implori di salvare tuo figlio, ti prometto che vivrà. Se no, morirà. Il sangue di un innocente, salverà un altro innocente!". L’ufficiale rispose con una sonora risata: "Non mi interessa" gli disse e lo uccise, sgozzandolo.

Quando, però, il colonnello tornò al suo villaggio, trovò un soldato con una lettera di grazia per l’uomo appena ucciso. La lettera, effettivamente, riportava anche il particolare che il figlio del graduato era molto malato e sul punto di morire. Spaventato, l’ufficiale ricordò allora la profezia e, preda dello sconfortò, rivolse la sua preghiera al Gauchito Gil, perché suo figlio fosse salvato (secondo altre versioni, l’uomo unse, con la terra ancora intrisa di sangue dell’innocente sgozzato, il figlio). Il giorno dopo, il ragazzo guarì inspiegabilmente; il giustiziato aveva salvato il figlio dell’aguzzino. Questi, si tramutò nel primo devoto del nuovo santo: per gratitudine, diede al corpo dell’ucciso, una degna sepoltura e costruì in suo onore un piccolo santuario a forma di croce rossa. Inoltre, diffuse la notizia del miracolo.

La notizia dell’accaduto si diffuse come un’esplosione. In breve, l’ex bracciante e fuorilegge, divenne un santo popolare, il cui culto si radicò in molte province argentine. Oggi non è difficile individuare, dal colore rosso del foulard e delle bandiere, sulle quali, se la richiesta della persona è stata soddisfatta campeggia la scritta: "Grazie, Gauchito Gil", i piccoli santuari dedicatigli sui bordi delle strade in tutta l'Argentina. Esiste anche un suo Santuario vero e proprio, (situato sul luogo dove il giovane venne sgozzato, a circa 8 km dalla città di Mercedes), meta di grandi pellegrinaggi. Oltre 200.000 persone arrivano, ogni anno, per chiedere favori al santo. Il Santuario ha un mausoleo che custodisce l'attuale tomba dell’ex fuorilegge; targhe di ex-voto che riportano i nomi di coloro le cui richieste hanno avuto soddisfazione, sono affisse sulle pareti.

Ogni 8 gennaio (data della morte di Gil), c'è una grande celebrazione in suo onore. Molti pellegrini arrivano, bevono, ballano, organizzano prove di coraggio con gli animali e partecipano alla processione che parte dalla chiesa in Mercedes e arriva al Santuario. Nastri, rosari, bandiere e statuette, arricchiscono il corteo.

Come detto né la Defunta Correa, né il Gauchito, sono riconosciuti dalla Chiesa cattolica, sebbene, a dir la verità, qualche figura importante della chiesa argentina, li abbia proposti per una canonizzazione ufficiale.

Ma il culto non si arresta, investendo con il fervore popolare queste figure. Qui sta la similitudine con il fenomeno che, per anni, ha investito le edicole del nostro quartiere, o le statue della Madonna posizionate sotto le arcate dell’Acquedotto Felice o nelle nicchie di Tor Fiscale. Mani e cuori umili, uscendo dalle loro abitazioni, più o meno, di fortuna, hanno rivolto un pensiero verso le immagini da loro ritenute sacre e a deporre fiori ai loro piedi, chiedendo una grazia di fronte alle difficoltà che la vita proponeva loro.

“Come le pietre sacre nell’antichità, le croci adornano ed indicano un luogo sacro o una piazza cristiana, proteggono i raccolti, ricordano un personaggio o un avvenimento, limitano un territorio, orientano e rassicurano i viaggiatori” (2)

È in rispetto di questo fervore e dell’ostinata difesa dei propri santi popolari, che offriamo il piccolo elenco seguente. Per permettervi di guardare con maggiore attenzione e, perché no, magari un po’ di rispetto in più, tali edicole e statue. Naturalmente saremmo ben lieti di aggiornarlo in seguito alle vostre segnalazioni.

Elenco edicole presenti nel quartiere. 

1.    Via del Pastore Faustolo (S. Maria Ausiliatrice)
2.    Via Clelia 26. Edicola in palazzo
3.    Via dei Cessati Spiriti. Edicola in palazzo
4.    Via Appia 880 (Quarto Miglio). Spigolo palazzo
5.    Via San Carlo di Sezze (Quarto Miglio). Edicola stradale
6.    Viale Opita-Oppio angolo con via dei Sulpici (Quadraro). Spigolo palazzo.
7.    Via Monte d’Onorio 2 (Tor Fiscale). Edicoletta portone
8.    Via Monte d’Onorio 8 (Tor Fiscale). Edicoletta portone
9.    Via dell’Acquedotto Felice 26. Spigolo costruzione
10.  Via dell’Acquedotto Felice. Muro Casa Santa Teresa di Calcutta.

Elenco statue della Madonna
1.    Vicolo dell’Acquedotto Felice. Arcata Acquedotto
2.    Via dell’Acquedotto Felice. Cortile chiesa
3.    Via Frascati.  Arcata centrale all’interno dell’area verde
4.    Via Monte Albino (Tor Fiscale). Colonnina angolo
5.    Vicolo di Tor Fiscale. Nicchia

     

(1)   G. Fragnito, Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Il Mulino 2005

(2)   G. Le Bras, Saggi di sociologia religiosa, Feltrinelli 1969