1925-1981: la città abusiva (Mauro Olivieri; La metropoli "spontanea". Il caso di Roma. Dedalo edizioni)

I Periodo: 1925-1949

Al censimento del 10 dicembre 1921 Roma conta una popolazione di 691.661 unità. Al censimento del 4 novembre 1951 il numero è salito a 1.701.913 unità; praticamente la città, in trent’anni, vede più che raddoppiata la propria popolazione con una crescita costante confermata dai censimenti intermedi: del 21 aprile 1931 (1.008.083 abitanti) e del 21 aprile 1936 (1.179.037 abitanti)

La principale causa dell’incremento demografico è l’immigrazione legata, nel periodo prebellico, all’idea fascista della “grande Roma, centro e metropoli della nuova Italia) e successivamente all’enorme massa di sfollati che giungono in città dalle aree circostanti colpite dalle distruzioni della guerra.

“…Chi viene a Roma sono i gerarchi, gli aspiranti accademici, i rappresentanti delle società industriali tranquillizzati dopo la soppressione delle libertà operaie, gli appaltatori, e i cacciatori di commesse belliche, cioè i nuovi gruppi dirigenti. Ma sono soprattutto i poveracci…” così Berlinguer e Della Seta nel loro libro sulle borgate di Roma descrivono le componenti sociali immigrate nel periodo fascista (1).

Quanto ciò sia vero è confermato dal dato che segnala come la componente migratoria in condizioni non professionali raggiunga il 25,9 per cento del totale degli immigrati: si tratta nella maggioranza dei casi di soggetti in cerca di occupazione spinti a Roma dai bassi livelli di vita nei paesi d’origine e dal miraggio della grande metropoli in grado di soddisfare, perlomeno, i bisogni primari.

Che sia solo un miraggio è già confermato nel 1939 con la legge del 6 luglio (n.1092) che subordina lo spostamento dei lavoratori alla autorizzazione del Commissariato per le migrazioni e per la colonizzazione interna meglio nota come legge contro l’urbanesimo.

In base alle nuove norme gli immigrati si vedono emarginati dai normali circuiti di lavoro, perché privi delle certificazioni necessarie, e sono costretti a rivolgersi alla sottoccupazione non garantita ed alla occupazione precaria.

Crescono di conseguenza, in questo periodo, le sacche di miseria urbana ancora più impoverite dalla seconda guerra mondiale, ma soprattutto in costante aumento, durante il conflitto, contrariamente alle altre città italiane a causa della consacrazione di Roma quale “città aperta” (solo nel 1942 si contano 75.357 nuovi immigrati).

All’incremento della popolazione corrisponde un aumento delle abitazioni che passano dalle 110.241del 1921 alle 319.230 del 1951: l’andamento crescente per popolazione ed abitazioni potrebbe far pensare che mediamente la situazione abitativa, nel periodo in esame, non si è modificata se non per l’incremento delle abitazioni non occupate che raggiungono nel 1951 le 10.248 unità.

In effetti a Roma, come vedremo meglio in seguito, comincia a crescere e svilupparsi la città non pianificata, la città “diversa”: la città abusiva. Nel 1951 ben 105.004 abitanti (oltre il 6% del totale) vivono in 27.961 alloggi che il censimento definisce di “altro tipo”, ma che in realtà sono: grotte, ruderi, baracche.

La drammaticità della situazione abitativa a Roma è d’altra parte confermata da un documento della Camera dei deputati, del 1953, che denuncia un peggioramento della situazione rispetto al 1931: sebbene sia, infatti, riscontrabile una diminuzione della coabitazione, risulta una riduzione del taglio degli alloggi con un conseguente aumento degli indici di affollamento medio. L’edilizia pubblica è incapace di far fronte all’emergenza; si pensi che l’Istituto case popolari di Roma dal 1948 al 1952 riceve circa 29.000 domande di alloggio, accogliendone solo 1.511. inoltre è da presumere che il livello dei redditi degli assegnatari sia molto basso se gli inquilini morosi nel 1952 risultano 4.709, pari al 18,5 % del totale.

Il mantenimento di una quota di fabbisogno primario di alloggi è tale, in questo periodo, da costituire motivazione indiscutibile dello sviluppo dell’edilizia abusiva. La popolazione con minori capacità di spesa, espressione di una domanda non solvibile all’interno dei normali circuiti del mercato della casa legale, non ha altra “scelta” che l’illegalità per disporre di un alloggio. Alloggio che nella maggioranza dei casi garantirà il semplice ricovero al di sotto di qualsiasi standard dell’edilizia ufficiale.

Nel periodo si individuano almeno tre processi dominanti il modo di produzione nella casa abusiva:

  • l’abusivismo delle baracche, caratterizzato dall’occupazione di aree pubbliche o private e dall’edificazione precaria;
  • l’abusivismo in lottizzazioni antecedenti il 1925, interne ai confini del piano regolatore del 1931 2 che potremmo definire “di completamento”, caratterizzato da un’edificazione oscillante tra il precario ed il consolidato su aree in proprietà;
  • l’abusivismo nelle nuove lottizzazioni periferiche, più o meno legali, con edilizia di tipo consolidato su aree in proprietà.

 

Per le baracche il periodo considerato va diviso in due fasi corrispondenti ai diversi atteggiamenti dell’autorità locale (il Governatorato).

La prima fase corrisponde all’idea fascista della grande Roma: comporta la politica dello sradicamento e riallocazione dei baraccati in “borgate ufficiali”, che si esaurisce in pratica alla fine degli anni Trenta.

La seconda fase, direttamente legata alla “complice tolleranza” dell’amministrazione, vede lo sviluppo di nuovi nuclei di baracche ed il consolidamento di quelli in precedenza non demoliti. Alimenta il fenomeno la crescente immigrazione e, dopo la guerra, l’arrivo degli sfollati. Questo processo è caratterizzato dalla figura dell’invasore o occupante autocostruttore. Il baraccato, infatti, interviene direttamente nella scelta dell’area che garantisce la maggiore sicurezza di permanenza. Pertanto cerca aree pubbliche: demaniali, servitù stradali e ferroviarie, o aree private che per la natura del terreno offrono scarse occasioni di sfruttamento per i proprietari. E interviene anche nella edificazione, utilizzando materiali prevalentemente di scarto (legno, profilati metallici, laterizi provenienti dalle demolizioni e quant’altro può essere riconvertito per formare un ricovero) e ricorrendo alla propria forza lavoro. Tipologicamente le baracche sono in prevalenza monolocali privi di qualsiasi servizio igienico, addossate le une alle altre in una sorta di protezione reciproca a formare una catena continua discriminata dal lento intercalare dei sostegni di un acquedotto o una massa informe in cui le leggi di crescita del nucleo sono basate criteri casuali di occupazione degli spazi liberi.

La localizzazione dei nuclei di baracche all’interno della città è caratterizzata da fattori variabili: i più antichi (Porta S.Giovanni, Porta Maggiore, Viale della Regina, via Angelica, via la Goletta, ecc.) sono demoliti perché ormai all’interno dell’are4a urbanizzata, pertanto nocivi all’immagine della capitale, e soprattutto d’ostacolo agli interessi degli speculatori del settore edilizio; mentre quelli più periferici da Ponte Nomentano a Malabarba e borghetto Magliana crescono su se stessi e di nuovi ne nascono all’Acquedotto Felice, all’Acquedotto Alessandrino, nei pressi di Tor Fiscale.

 

Una seconda forma di abusivismo che si sviluppa nel periodo in esame è quella della densificazione in lottizzazioni realizzate in precedenza: è il caso del Quadraro, di Villa Certosa e di altri nuclei distribuiti omogeneamente ai margini della città legale. Non è completamente chiaro fino a che punto ci si trova di fronte ad un vero abusivismo; si tratta in effetti di insediamenti in cui edilizia legale ed edilizia illegale si confondono, ma che in complesso mantengono le caratteristiche formali di ciò che sarà nei periodi successivi l’abusivismo: la marginalità, la scadente qualità di vita, il basso livello (in alcuni casi l’assenza completa) di infrastrutturazione sia primaria che secondaria, il tipo edilizio degli alloggi e la loro qualità che seppure superiore a quella delle baracche, ripropone l’immagine di un’edilizia “precaria consolidata”.

Anche in questo caso, come per le baracche, è prevalente l’opera dell’autocostruttore che, ricorrendo al proprio risparmio, compra il lotto (di dimensione intorno ai 400-500 mq), acquista i materiali edilizi, ed edifica direttamente con il contributo, in alcuni casi, dei familiari.

La qualità e la tipologia delle abitazioni riflettono le risorse disponibili; sono spesso mono-locali ad un piano, costruiti con la tecnica del muro perimetrale portante (muro romano) e con copertura prevalentemente a terrazzo in grado di consentire successive sopraelevazioni.

Proprio quelli della sopraelevazione e dell’ampliamento sono del resto due processi caratteristici dell’edificazione abusiva. La necessità di commisurare l’abitazione alle risorse economiche e di tempo disponibili comporta da parte dell’autocostruttore un differimento delle fasi costruttive, mantenendo aperta la possibilità che “in tempi migliori” si possa provvedere alle ulteriori modifiche legate allo sviluppo del nucleo familiare originario e/o al crescere di nuovi nuclei.

Insediamenti formatisi e consolidatisi secondo il processo di produzione appena descritto si localizzano in prevalenza in prossimità delle vie consolari, è il caso oltre che di Villa Certosa e del Quadraro, di Torpignattara e Centocelle lungo la via Casilina; di Tor di Quinto e Ponte Milvio sulla Cassia.

 

Ma dove il fenomeno dell’abusivismo si sviluppa più intensamente è nelle lottizzazioni fuori dai limiti del piano regolatore del 1931, che si avviano proprio negli anni Trenta e Quaranta.

Circa 3 mila ettari vengono frazionati e venduti.

Queste lottizzazioni beneficiano totalmente dell’ambiguità dell’art. 14 delle norme di piano regolatore secondo cui “è vietato procedere a lottizzazione di terreni a scopo edilizio, fuori dei limiti del piano regolator edilizio e di ampliamento senza il permesso dell’autorità governatorale, che avrà facoltà di concederlo solo nel caso in cui il piano sottoposto non sia in contrasto coi criteri di massima da essa adottati per l’ulteriore sviluppo della città, e solo quando l’impresa lottizzatrice assuma con serie garanzie l’obbligo di procedere a proprie spese all’impianto dei pubblici servizi (acqua, fognature, illuminazione, mezzi di trasporto in comune)…”

Sorgono così, su lottizzazioni il cui limite tra legale ed abusivo è difficilmente discriminabile, numerose borgate:

  • nel settore Est lungo la via Casilina: Torre Maura, Giardinetti, Finocchio; lungo la Prenestina: Tor Sapienza e la Rusticana;
  • nel settore Ovest: Corviale, Bravetta, Pisana, Magliana;
  • nel settore Nord lungo la via Cassia: Tomba di Nerone, Giustiniana, La Storta.
  • dal punto di vista edilizio le abitazioni in questi nuclei hanno in prevalenza carattere consolidato (case ad uno-due piani monofamiliari con giardino) anche perché gli abitanti nella maggioranza dei casi sono dipendenti a reddito fisso in grado, pur nella limitatezza delle risorse economiche, di avviare un processo di produzione dell’abitazione ultimativo sia in regime di autocostruzione sia in quello di autogestione con affidamento ad artigiani edili nella fase costruttiva. 

Le aree fuori piano regolatore investite da questo processo sono così vaste che già nel 1935 il Governatorato con delibera del 25 luglio, n. 5390, provvede ad un primo confuso e soprattutto, come vedremo, mistificatorio, tentativo di sanatoria attraverso la perimetrazione delle lottizzazioni.

Nascono così i “nuclei edilizi” che tanta parte avranno nell’ulteriore sviluppo dell’abusivismo negli anni dell’immediato dopoguerra.

 

 

II Periodo: 1950-1961

La popolazione presente a Roma alla data del censimento del 1961 (25 ottobre) è di 2.246.883 unità. Rispetto al precedente censimento (4 novembre 1951, 1.701.913 presenti) si ha un incremento di 544.970 abitanti, dovuto, anche in questo periodo, prevalentemente alla componente migratoria.

Le abitazioni totali passano dalle 319.230 del 1951 alle 572.246 del 1961, con un incremento del patrimonio non occupato di 35.879 unità; complessivamente questo periodo e, come vedremo, il successivo, sono quelli di maggiore produzione edilizia, con circa 300 mila abitazioni costruite nel decennio.

La città cresce. A questa crescita corrisponde, permanendo le distorsioni del mercato edilizio legale, l’aumento del fenomeno dell’abusivismo che proprio in questi anni perde i caratteri di marginalità assoluta per cominciare a configurarsi come un vero e proprio modo di produzione alternativo della casa.

Solo una piccola parte del territorio comunale è pianificata: quella compresa nei limiti del piano regolatore del 1931 (circa 145.000 ettari); dei piani delle borgate marine di Ostia e Fiumicino del 1933 e della variante di piano del 1942; mentre per i “nuclei edilizi” (circa 3 mila ettari in totale) non è stato predisposto alcuno strumento urbanistico.

In totale più di 130 mila ettari (il comune ne conta complessivamente 150 mila) non sono pianificati e restano pertanto esposti alle speculazioni della proprietà fondiaria che avvia numerosi frazionamenti, nella maggioranza dei casi illegali: tra il 1951 ed il 1961 pervengono all’amministrazione capitolina più di 200 domande di lottizzazione, di cui solo una ventina sono prese in considerazione.

Berlinguer e Della Seta sono gli unici che abbiano tentato una stima del fenomeno, valutando che nel periodo 1949-1962 l’aggressione del territorio da parte dei lottizzatori abbia sottratto aree per un totale di circa 10 mila ettari, con un’edificazione di 30 mila abitazioni ed una popolazione insediata al 1962 di quasi 400 mila abitanti. Questi dati sono confermati anche da altre fonti.

La stessa amministrazione comunale, solo per le 44 borgate che diventeranno zona di piano F1, riconosce una superficie lottizzata di circa 4 mila ettari.

A questi vanno aggiunti i suoli di molti altri nuclei sorti nel frattempo ed ufficialmente ignorati. Lo stesso confronto tra abitazioni prodotte nel periodo 1951-1961, circa 252 mila, e quelle per cui nello stesso arco temporale è stata richiesta la licenza di abitabilità, circa 191 mila, segnala, per differenza, una produzione abusiva valutabile intorno alle 40 mila abitazioni.

Un ruolo determinante nella localizzazione degli insediamenti abusivi è sicuramente svolto dai “nuclei edilizi” che il comune individua per la prima volta nel 1935 e successivamente amplia con nuove perimetrazioni: proprio in prossimità dei nuclei si concentrano infatti la maggioranza delle nuove lottizzazioni.

Lungo la via Casilina Giardinetti e Finocchio incentivano la crescita di Torre Angela e Borghesiana; lungo la via Trionfale nasce e si consolida la borgata Ottavia; lungo la via Boccea le borgate di Casalotti e Montespaccato e così via fino al litorale, dove cominciano a comparire le prime abitazioni abusive a Focene, Isola Sacra e Passoscuro.

In questo periodo sembrano individuabili quattro processi significativi, tutti legati alla figura prevalente dell’autocostruttore, del modo di produzione abusivo: quello che anche in seguito per semplicità definiremo delle “lottizzazioni abusive”, caratterizzato dalla edificazione progressiva (in alcuni casi si parte dalla baracca) su aree in proprietà; quello delle baracche, che pur riducendosi quantitativamente rimane molto praticato (lo caratterizza l’edificazione precaria su aree non in proprietà); quello delle borgate marine con edificazione consolidata su aree in proprietà; quello delle borgate di origine rurale che, sebbene ancora marginale nel periodo in questione, risulterà determinante nello sviluppo abusivo degli anni Sessanta e Settanta, sia per quantità che per qualità, trattandosi di un abusivismo caratterizzato in alcuni casi da un’edificazione consolidata, del tutto simile a quella di altre borgate, su aree però non in proprietà.

 

Il meccanismo delle lottizzazioni abusive, con circa 10 mila ettari frazionati è il più frequente negli anni Cinquanta ed è simile in buona parte delle nuove borgate: il proprietario dell’area, direttamente o attraverso intermediari lottizzatori (in questo periodo non è ancora molto praticato il ricorso alle “società fantasma”), provvede al frazionamento del terreno in lotti di dimensione prevalente variabile tra i 500 ed i 1.000 mq., traccia percorsi carrabili di supporto alla lottizzazione e promuove la vendita dei lotti attraverso sensali e mediatori locali. Spesso una parte della proprietà non è lottizzata e così resta pronta ad essere messa sul mercato in tempi successivi, onde estrarre più alti valori di rendita.

A quale potenziale domanda si rivolgono i proprietari delle aree lottizzate abusivamente?

Si tratta di una domanda emarginata dai circuiti di offerta della casa legale, sia sul piano privato, sia dell’edilizia pubblica.

Nel primo caso la ridotta capacità di spesa della domanda, composta da operai occupati nel settore edile e da immigrati in cerca di lavoro, non consente di accedere alle abitazioni in vendita e in affitto, per gli alti prezzi che il mercato impone.

Nel secondo caso, nonostante l’edilizia pubblica svolga in questo periodo un ruolo determinante nella produzione di alloggi attraverso i piani di ricostruzione destinati ai baraccati, agli sfrattati ed ai profughi in genere, il mancato accesso è ancora una volta dovuto alle discriminazioni perpetuate dalla nota legge contro l’urbanesimo, che verrà abrogata solo nel febbraio 1961 con il ripristino della libertà di residenza.

Gli acquirenti delle lottizzazioni abusive appartengono di fatto proprio a quelle fasce di domanda critica formate da immigrati e da operai edili che, non potendo sostenere i costi di un’abitazione legale, acquistano un lotto e subito vi edificano una baracca che consenta il rapido trasferimento della famiglia. La baracca sarà poi sostituita con un’abitazione in muratura.

Si costituisce così un nuovo modo di produrre abitazioni al di fuori del controllo e della pianificazione, in cui le convenienze dei proprietari fondiari si intrecciano con lo stato di bisogno abitativo dei soggetti più vulnerabili in un quadro economico tutto a vantaggio dei primi che, con costi praticamente nulli, immettono sul mercato aree non edificabili o edificabili a particolari condizioni estraendone il massimo possibile in termini di rendita e lasciando al lottista il peso non indifferente di “pioniere urbano”

Che di “pioniere urbano” si tratti è confermato dal fatto che le lottizzazioni sono sempre lontane dal centro e dai luoghi di lavoro, totalmente prive di opere di urbanizzazione primaria (il ricorso al pozzo nero per lo smaltimento dei liquami ed al pozzo artesiano per l’approvvigionamento idrico è pratica abituale nelle borgate abusive e di servizi.

Secondo questo meccanismo sorgono o si ampliano:

  • Nel settore Est: Torre Angela, Finocchio, Borghesiana, Grotte Celoni, Giardinetti, Torre Maura, lungo la via Casilina; Tor Sapienza, La Rustica e Lunghezza, lungo la via Prenestina;
  • Nel settore sud: Quarto Miglio, Casal Morena, Castel di Leva e Ostia Antica;
  • Nel settore Ovest: Boccea, Casalotti, Pisana, Montespaccato e Magliana;
  • Nel settore Nord: Castel Giubileo, Prima Porta, Labaro e Cesano.


La Commissione parlamentare della Camera descrive nel 1953 la condizione di vita di circa 93 mila baraccati in questi termini: “… la situazione degli appartenenti al secondo gruppo (gli occupanti di abitazioni precarie) è drammatica e talora tragica. Per queste famiglie la mancanza di una casa degna di questo nome è un fattore di decadenza fisica e soprattutto morale; per questi individui il possesso di una casa è la condizione pregiudiziale per la loro riabilitazione come esseri umani, per sperare che possano fornire alla collettività un sia pur modesto contributo di lavoro …”. Nasce e si consolida così l’immagine negativa dei baraccati che durerà vent’anni.

Le cause della drammaticità della situazione vanno cercate nella crisi dell’occupazione che colpisce i lavoratori meno garantiti; al 31 agosto 1952 i disoccupati nella provincia di Roma sono in totale quasi 50 mila, di cui 35 mila disoccupati per cessazione del precedente rapporto di lavoro.

Nel corso del decennio la situazione non si modifica molto. Un’indagine del 1958 del Comune di Roma sugli alloggi precari (13.131 in totale) segnala che in accantonamenti, grotte, ruderi e baracche vivono 54.576 abitanti riuniti in 13.703 famiglie, con un indice di affollamento medio superiore ai due abitanti per ambiente.

Se si escludono gli accantonamenti e gli alloggi collettivi di origine legale (ex caserma Lamarmora, ex ospizio San Michele, ex Gil, ex caserma dell’aeronautica militare a piazza San Giovanni di Dio, ecc.) negli 11.503 alloggi precari abusivi rimanenti vivono 48.336 abitanti, per un totale di 12.066 famiglie in drammatiche condizioni di affollamento.

La massima concentrazione dei nuclei di alloggi precari si ha all’interno dei quartieri (72,29%) e dei suburbi (20,15%); mentre le zone dell’agro romano vengono investite in misura limitata (7,13%). Rispetto al tipo, gli alloggi precari sono: per 96,46% baracche, per il 2,60% ruderi e per lo 0,47% grotte.

Particolarmente significativo è il dato sulla provenienza dei baraccati; sul totale dei capifamiglia (13.703), 11.013 risultano immigrati (80,63%) di cui provenienti: il 24,24% dai comuni del Lazio; il 14,81% dall’Abruzzo e dal Molise; il 13,42% dalla Calabria; l’8,24% dalla Puglia.

Relativamente alla condizione professionale si tratta in prevalenza di operai dipendenti: 11.277, di cui 8.761 occupati nell’industria, 2.360 in altre attività e solo 156 nel settore agricolo.

Si è dunque ben lontani dal profilo di un ceto bisognoso di “riabilitazione” e incapace di un “sia pur modesto contributo di lavoro”. Si tratta invece soprattutto di lavoratori (in alcuni casi disoccupati) che in presenza di un fabbisogno abitativo insoddisfatto non trovano altra soluzione che ricorrere all’autocostruzione abusiva.

Quanto sia duro il prezzo di questa “scelta costretta” lo dimostrano le condizioni di vita nelle baracche. Si pensi che su 11.503 alloggi precari, 6.255 presentano infiltrazioni d’acqua, 3.407 non hanno pavimento, 7.601 non hanno neanche la latrina e ben 10.116 sono privi di acqua potabile.

Il processo di edificazione mantiene la caratteristica dell’occupazione abusiva dell’area e dell’edificazione precaria già veste nel periodo prece4dente. Di seguito si riporta l’elenco delle aree in cui il fenomeno assume particolare rilevanza in termini quantitativi (alloggi precari superiori alle 500 unità):

  • Parioli (Forte Antenne, Campo Parioli, Prati della Rondinella, ecc.) con 638 alloggi e 2.600 abitanti;
  • Tuscolano (Velodromo Appio, Mandrione, Acquedotto Felice, ecc.) con 2.175 alloggi e 9.155 abitanti;
  • Ostiense (borghetto delle Statue, via San Colombano, Vasca Navale, ecc.) con 650 alloggi e 2.772 abitanti;
  • Appio Latino (borghetto Latino, via Latina, ecc.) con 843 alloggi e 3.588 abitanti; Della Vittoria (parco Mellini, Villa Mazzanti, Villa Stuart, ecc.) con 764 alloggi e 3.114 abitanti;
  • Tiburtino (borghetto Prenestino, via Sant’Agapito, ecc.) con 1.081 alloggi e 4.673 abitanti.

 

Un processo significativo degli anni Cinquanta è quello che investe il litorale; contrariamente a quanto si pensa abitualmente, i primi insediamenti marini non nascono per un uso saltuario delle abitazioni nel periodo estivo (fenomeno della seconda casa). Nella maggioranza dei casi si tratta invece di piccoli nuclei abitati da lavoratori occupati nelle ziende vicine (agricoltori della bonifica di Maccarese) o da pescatori.

Anche in questo processo la figura “dominante” è l’autocostruttore che a seconda dei casi edifica baracche (Villaggio dei Pescatori) o abitazioni consolidate (Passoscuro). Nascono con questo meccanismo intorno agli anni Cinquanta: Fiumicino-Isola Sacra, Focene, Villaggio dei Pescatori e Passoscuro.

Ciò che però differenzia le borgate marine da quelle urbane è la proprietà delle aree che nelle prime risulta più frequentemente di enti più che di singoli privati. Torna utile segnalare che, intorno al 1953, la proprietà fondiaria nella provincia di Roma è concentrata nelle mani di 106 privati, per una superficie di 122.886 ettari; nel complesso le proprietà di dimensione superiore ai 500 ettari costituiscono il 71% del totale per una superficie di 356.297 ettari.

A Passoscuro e Isola Sacra sono proprio due enti: il Pio istituto e l’Opera nazionale combattenti ad avviare i frazionamenti; nel primo caso con lotti inferiori ai 5 mila mq, frazionati ulteriormente in seguito dai singoli proprietari, nel secondo caso con lotti intorno ai 1.00-1.500 mq venduti ad un prezzo variabile tra le 130-150 lire/mq

Differente è l’origine del Villaggio dei Pescatori sorto su un terreno demaniale occupato appunto da pescatori e mezzadri, che lo Stato riconoscerà rilasciando concessioni d’uso del suolo previo pagamento di un canone.

Rientra invece nell’ambito delle lottizzazioni abusive tipiche di altre borgate urbane il caso di Focene; dove il proprietario dell’area, attraverso intermediari costituiti in due società, provvede al frazionamento del suolo in lotti di 20-30 mila mq che a loro volta saranno divisi, riproponendo un meccanismo ormai collaudato in altre parti della città.

 

Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta si cominciano a formare nelle zone dell’Agro Romano nuovi insediamenti rurali il cui ruolo nello sviluppo dell’abusivismo negli anni successivi assumerà una particolare rilevanza. I meccanismi che presiedono alla formazione di questi nuclei sono diversi; esistono casi di cooperative di agricoltori; immigrati da altre regioni, che acquistano terreni per un’utilizzazione a scopo produttivo ricorrendo a mutui agevolati concessi dallo Stato per incentivare l’agricoltura, e casi di cooperative di “ex combattenti” e “nullatenenti” cui vengono distribuite in uso aree di proprietà pubblica sempre con scopi agricoli.

Sorgono con il primo meccanismo Castelverde e Porta Medaglia; con il secondo Gregna-S.Andrea, Romanina, Passo Lombardo.

 

 

III Periodo: 1962-1971

In questo periodo quattro aspetti significativi sembrano offrire la base per una più corretta interpretazione del fenomeno dell’abusivismo:

  • l’adozione del piano regolatore generale del 1962 che, per la prima volta nella storia dei piani di Roma, copre l’intero territorio comunale;
  • la regolarizzazione dei 44 nuclei, in parte abusivi, sorti nei periodi precedenti e rientrati nel piano regolatore come zone F1 di ristrutturazione urbanistica;
  • l’ulteriore incremento della popolazione, dovuto all’immigrazione, che raggiunge nel 1971 i 2.856.371 presenti contro i 2.246.883 del 1961;
  • lo sviluppo senza precedenti dell’abusivismo, il suo affermarsi come modo ordinario di produzione edilizia e contemporaneamente i primi segnali di una modificazione strutturale dei processi che proprio verso la fine degli anni Sessanta e i primi anni degli anni Settanta vedranno affiancarsi alla figura degli autocostruttori, motivati all’intervento dallo stato di necessità, gli autopromotori che operano prevalentemente per convenienza (anche se permane l’uso diretto dell’abitazione) ed i piccoli, per il momento, promotori immobiliari.

Per il piano del 1962 occorrono qui alcune precisazioni.

La prima si riferisce alla cosiddetta sanatoria delle 44 borgate F1: confrontoandole con i “nuclei edilizi” perimetrati nel 1935 emerge che una parte era già stata regolarizzata nel passato. È il caso delle borgate Alessandrina, Giardinetti, Finocchio, Tor Sapienza, La Rustica, ecc. per questi nuclei è stata necessaria una sanatoria urbanistica dato che le motivazioni addotte alla perimetrazione del ’35 erano fondamentalmente false nel momento in cui segnalavano: “… che, con l’emanazione del R.D.L. 6 luglio 1931, n. 981, e propriamente con l’articolo 14, fu fatto divieto di procedere a lottizzazioni di terreni a scopo edilizio, fuori dei limiti del Piano regolatore edilizio e di ampliamento, senza il permesso dell’autorità governatoriale; che, tale misura di rigore, se deve avere la sua applicazione per l’avvenire, non può essere d’ostacolo allo sviluppo edilizio in quelle zone, dove già si sono costituiti, si può dire naturalmente, i nuclei edilizi, ed impiantati quasi tutti i servizi pubblici…”.

In realtà i servizi non esistevano.

La seconda precisazione è relativa al fatto che la sanatoria, pur investendo buona parte dell’edilizia abusiva, ignora borgate già edificate (Dragona, Saline, Tor Vergata, ecc.) che appena sette anni dopo contano un patrimonio edilizio di circa 20 mila abitazioni.

Va infine sottolineato il ruolo che il piano del ’62 ha avuto nell’ulteriore sviluppo dell’abusivismo; a questo proposito E. Salzano segnalava già nel 1971: “… la speculazione a Roma ha mostrato due volti: quello caratterizzato da un’impostazione moderna, razionale ed efficiente, che ha per protagonisti grandi gruppi finanziari (…) solidamente “ammanigliati” nelle alte sfere capitoline, e che spregiudicatamente utilizza, per le sue operazioni, quel piano regolatore il cui disegno aveva d’altronde contribuito a determinare; quello basato, viceversa, sull’allargamento sfrenato e parossistico delle forme tradizionali e quasi primitive, di speculazione sulle categorie a più basso reddito e di sfruttamento piratesco del territorio, in piena illegalità e in aperto e protervo contrasto con le previsioni ed i vincoli di piano regolatore…”.

Da una parte quindi la città legale costruita secondo i metodi ed i sistemi di produzione capitalistica, garantiti dallo strumento urbanistico; dall’altra la città abusiva, la periferia emarginata in cui i proprietari delle aree, penalizzati in qualche modo dalle destinazioni del piano, in un quadro di interessi speculativi avviano ed alimentano la “tecnica devastatrice” della lottizzazione abusiva.

L’incremento di popolazione nel decennio in esame, dovuta ancora una volta in misura prevalente alla componente migratoria, conferma tuttavia la persistenza di una domanda non solvibile sul mercato della casa legale per i bassi redditi e le ridotte capacità di spesa, e che neanche trova risposta nell’edilizia pubblica.

La popolazione complessivamente aumenta di 609.448 unità con un ritmo migratorio medio annuale di circa 60 mila persone e con una punta nel 1963 di 100.420 persone.

Le abitazioni passano dalle 572.246 censite nel 1961 alle 873.802 del 21971. Siamo negli anni del boom edilizio, ma è sufficiente approfondire l’analisi del dato statistico per capire che parte dell’incremento (301.556) abitazioni è assorbito dalle abitazioni non occupate, in prevalenza seconde case (79.251 nel ’71 contro le 35.979 del ’61 e le 10.248 del ’51). Già all’inizio degli anni Sessanta si valuta che le borgate siano abitate da circa 400 mila persone e che quindi una parte considerevole del patrimonio edilizio censito nel ’61 sia composto da abitazioni costruite abusivamente.

Nel periodo l’aumento della popolazione residente nelle borgate abusive risulta di 316 mila abitanti (secondo il censimento) e di 373 mila abitanti (secondo l’Unione borgate) fino a costituire un totale di circa 750-800 mila abitanti. Va detto che questi dati sono confermati dall’andamento della produzione abusiva, che secondo uno studio condotto dalla cooperativa “Cirs” sulla base dei rapporti di accertamento dei Vigili urbani ha segnalato 48.507 appartamenti costruiti tra il 1961 ed il 1971.

Le aree investite dal fenomeno delle lottizzazioni coprono quasi 10 mila ettari nel periodo tra il 1962 ed il 1974.

Meno convincenti sono i dati relativi alle baracche per cui nei dieci anni considerati, dai censimenti (in contrasto con altre fonti) risulta una diminuzione di circa 13 mila alloggi precari (20.032 nel ’61 e 6.6770 nel ’71) con conseguente diminuzione della popolazione da 72.203 abitanti a 23.549 abitanti, componenti 6.915 nuclei familiari. In questo periodo i modi di produzione della casa illegale possono essere ricondotti ad almeno cinque diversi processi significativi:

  • il primo investe borgate già formate e si può definire di consolidamento; vede l’arrivo di una speculazione di piccolo cabotaggio con una produzione di alloggi per la vendita e nel caso degli autopromotori per l’affitto, con tipologie edilizie del tutto comparabili a quelle dell’edilizia legale;
  • il secondo è quello delle nuove lottizzazioni abusive; caratterizzato dalla produzione di edilizia consolidata su aree in proprietà non ancora urbanizzate;
  • il terzo trasfora alcune borgate rurali in borgate urbane;
  • il quarto vede comparire un abusivismo commerciale ed artigianale-produttivo misto al residenziale specialmente in quelle borgate che per localizzazione garantiscono un sufficiente livello di accessibilità;
  • il quinto è ancora una volta quello delle baracche che, sebbene in misura minore rispetto ai periodi precedenti, continua a fornire un tetto a famiglie in condizioni gravenmente precarie. Ma si hanno anche casi di occupazione “fittizia” di baracche al fine di vedersi riconoscere il titolo per accedere ad alloggi di edilizia sovvenzionata.

 

Il meccanismo della lottizzazione resta ancora il più praticato nel periodo in esame; tra il 1962 ed il 1974, vengono lottizzati circa 11 mila ettari (secondo il Sindacato Lottisti delle Borgate romane). Le nuove lottizzazioni in maggioranza si localizzano nel settore Est, nell’area compresa tra la Prenstina e la Tuscolana fuori del Raccordo anulare (su 50 lottizzazioni, segnalate dall’Unione lottisti negli anni 1968 e 1970, per un totale di 1.278 ettari, ben 35 investono la cintura orientale).

Comincia soltanto ora la vera massiccia aggressione alle destinazioni non edificabili previste dal piano regolatore. Le zone H per uso agricolo sono le più colpite, ma si compromettono anche quelle vincolate a servizi e a verde (zone M ed N). solamente nel 1968 oltre 100 ettari vengono sottratti a queste ultime due destinazioni.

Ma ciò che più preme sottolineare è la trasformazione del processo di divisione fondiaria. I proprietari delle aree cominciano ad utilizzare sempre più frequentemente società di copertura, il cui scopo primario è di garantire l’anonimato di chi promuove la lottizzazione illegale, ricorrono a tecnici per il frazionamento, promuovono la vendita dei lotti attraverso piccole agenzie immobiliari ed intermediari (sempre gli stessi in borgate vicine), offrono, in alcuni casi, dilazioni nel pagamento, si appoggiano ad agenzie di credito locali per eventuali prestiti, si garantiscono l’impunità attraverso connivenze a livello politico e della amministrazione locale.

In definitiva i proprietari delle aree mostrano la capacità di costruire sulla fase della divisione fondiaria un sistema di convenienze opportunamente distribuite tra i diversi soggetti che intervengono.

I prezzi del lotto nel frattempo salgono; gli ormai vecchi capisaldi storici dell’abusivismo consolidati (vedi la sanatoria delle zone F1) sono la garanzia per il migliore sfruttamento delle aree di margine delle vecchie borgate e non è casuale che proprio nelle vicinanze di questi nuclei crescano e si moltiplichino i nuovi insediamenti; l’effetto dei “nuclei edilizi” degli anni Cinquanta sui ripropone nelle stesse forme, ma con intensità superiore.

Un esempio degli effetti di questa legge di riproduzione è ancora una volta il settore Est della città dove, a ridosso di Torre Angela, Giardinetti, Finocchio crescono Valle della Piscina, Valle Fiorita, Capanna Murata, Due Torri, Oasi S.Maura, ecc.

In queste nuove lottizzazioni è ancora prevalente nella fase dell’edificazione il ruolo dell’autocostruttore, intorno al quale però, contrariamente a quanto era successo nei periodi precedenti, cominciano ad emergere figure intermedie del processo produttivo.

Sono infatti sempre più numerosi nelle vicinanze delle borgate, i cosiddetti “smorzi”: rivendite di materiali edilizi (calce, blocchetti di tufo, laterizi, sanitari, ecc.); gli artigiani (idraulici, elettricisti, imbianchini, ecc.) che intervengono all’interno del processo a fasi costruttive già avviate e completate.

 

Differente è il caso delle borgate già in parte consolidate, dove alla figura dell’autocostruttore della prima generazione si aggiungono ora, e in alcuni casi si sostituiscono, gli autopromotori ed i piccoli imprenditori. Per autopromotori si intendono quelli che, in un intreccio non sempre facilmente discriminabile tra motivazioni di necessità e di convenienza, affidano, in parte o totalmente, l’edificazione a terzi; si tratta per lo più di muratori, piccoli artigiani del settore delle costruzioni che in tempi più o meno elastici offrono al cliente un prodotto che potremmo definire “semilavorato”; generalmente il rustico, ma in alcuni casi anche un manufatto che sebbene sia ancora privo delle rifiniture (intonaci, pavimenti, impianti tecnici, ecc.) consente il rapido insediamento della famiglia.

Piccole imprese in grado di fornire questo tipo di prodotto si formano in tutte le borgate; la loro presenza è segnalata a Castelverde (una impresa locale), a Torre Angela (sei-sette imprese di cottimisti), a Gregna, Dragona, Romanina, Finocchio (due imprese di cottimisti), a Infernetto.

Il confronto dei tempi di esecuzione conferma che mediamente un’impresa di 4-5 operai realizza in una notte lo scavo e in due giorni i plinti, l’installazione della carpenteria (predisposta altrove) e la gettata. Complessivamente i tempi tecnici che trascorrono tra lo scavo e l’ultimazione del rustico si aggirano intorno ai venti-trenta giorni.

Il ruolo dell’autopromotore in questi casi è quello di sovraintendere alle varie fasi di costruzione, curando una sorta di direzione del cantiere, procurando i materiali e raramente partecipando direttamente al lavoro.

Questo processo di produzione della casa abusiva presuppone, da parte del lottista, una capacità economica superiore a quella dell’autocostruttore, il che conferma la sostituzione sociale scontata in anni recenti dell’abusivismo; non si tratta più dei soli immigrati e degli operai edili ma di dipendenti a reddito fisso di altri settori, nella maggioranza dei casi dei servizi pubblici, dell’industria, ecc.

 

Anche in questo periodo assume particolare rilevanza la trasformazione di alcuni nuclei di origine rurale (Castelverde, Porta Medaglia ed altre borgate della XII e XX circoscrizione) in borgate con caratteristiche urbane. La storia di Prima Porta e Cesano si ripete proiettata in aree più periferiche con processi che in parte si differenziano dai precedenti per quanto riguarda i modi di produzione e le tipologie costruite.

Quello della continuità storica dei caratteri dell’abusivismo è del resto un aspetto significativo del fenomeno. I processi di formazione e di trasformazione di una borgata seguono prevalentemente un percorso obbligato attraverso le diverse tipologie di comportamento.

Non è un caso che l’autocostruzione tipica negli anni Trenta di Villa Certosa e del Quadraro, negli anni Cinquanta si ritrovi in borgate più periferiche (Dragona, Torre Angela9, ecc.), mentre negli anni Sessanta compare in zone ancora più esterne (Trigoria, Prato Fiorito, Castelverde, ecc.).

 

 

IV Periodo 1972-1981

L’ultimo periodo registra il crollo della produzione edilizia ufficiale, che tra il 1971 e il 1981 raggiunge appena 139 mila nuove abitazioni (1.012.000 abitazioni totali censite nel 1981 contro le 873.802 del 1971): livello minimo del dopoguerra se si pensa ai 250 mila alloggi prodotti negli anni Cinquanta ed ai circa 300 mila degli anni Sessanta. Ma alla diminuzione dell’attività edilizia corrisponde (ed in questo è la caratteristica fondamentale del periodo) un incremento dell’abusivismo talmente elevato che l’edilizia illegale raggiunge ed a volte supera, secondo gli anni, quella legale.

Alcune indagini di settore confermano questa significativa modificazione di tendenza. Da una ricerca condotta dalla Cattedra di Urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Roma risulta che, tra il ’71 e il ’77, le abitazioni costruite abusivamente, nelle sole borgate destinate ad entrare nella sanatoria comunale del 1978, sono circa 46 mila (nel 1971 il patrimonio edilizio in questi nuclaei era di 21 mila abitazioni)

La massima concentrazione dello sviluppo si ha, al solito, nel settore Est della città: nell’area compresa tra la via Prenestina e la via Appia si costruiscono 15 mila nuove abitazioni che formano e consolidano le borgate di Colle Mentuccia, Castelverde, Finocchio, Borghesiana, Romanina, Gregna, Lucrezia Romana, Centrone, ecc. nel settore Sud-Ovest, lungo la direttrice che porta al mare (fascia compresa tra il Tevere e la Cristoforo Colombo), le nuove abitazioni sono circa 6.500, nelle borgate di Dragona, Saline, Madonnetta, Prato Cornelio, Punta Malafede, Centro Giano, Infernetto, ecc.

Ma l’abusivismo non si esaurisce nelle borgate della perimetrazione comunale: proprio negli anni Settanta il fenomeno diventa talmente diffuso e parcellizzato in numerose aree che una analisi di rapporti giudiziari effettuati dai vigili urbani sull’intero comune (indagine della cooperativa “Cirs” già citata) segnala circa 80 mila nuovi appartamenti costruiti abusivamente secondo un andamento che raggiunge i valori massimi nel triennio ’73-’75: 10.323 alloggi nel 1973, 18.611 nel 1974, e 14.578 nel 1975.

Nel quadro che si configura attualmente è difficile discriminare i processi di formazione e trasformazione abusiva in modo chiaro, specialmente quando all’interno della stessa borgata, ed è il caso più frequente, se ne manifesta più di uno contemporaneamente.

Nonostante questo limite e riducendo in parte i termini dell’analisi sono evidenti nel periodo preso in esame cinque processi significativi:

  • il primo per entità è quello della promozione immobiliare, caratterizzato dall’ingresso nel ciclo produttivo abusivo di nuovi soggetti (imprenditori) che intervengono con logiche di mercato e pertanto configurano un processo del tutto analogo a quello dell’edilizia legale: acquisizione delle aree, edificazione con tipologia prevalente della palazzina, vendita degli alloggi;
  • il secondo è relativo a quella fascia dell’autopromozione per così dire “qualificata”, caratterizzato da soggetti che nonostante siano l’espressione di una domanda solvibile sul mercato legale trovano nel settore abusivo la convenienza dell’intervento;
  • il terzo è quello delle nuove lottizzazioni abusive al cui interno si collocano i vari soggetti con le proprie motivazioni: necessità, convenienza, speculazione, che in definitiva sono l’espressione della continuità con i periodi precedenti;
  • il quarto è riferibile allo sviluppo dell’abusivismo legato alla seconda residenza;
  • il quinto è relativo all’abusivismo di tipo produttivo-artigianale e commerciale, caratterizzato dalla modificazione dei sistemi economici all’interno di alcune borgate dove operatori di settore avviano processi progressivi di terziarizzazione.

 

Negli anni Settanta si consolida quindi una profonda trasformazione delle precedenti caratteristiche dell’abusivismo.

D’altra parte lo stesso quadro economico e sociale è in generale diffusamente mutato rispetto ai periodi precedenti: l’immigrazione è finita, la dinamica demografica raggiunge i minimi storici (crescita zero). Per contro si apre una crisi edilizia che intorno al 1974 vede crollare la produzione di alloggi legali colpendo direttamente quegli strati di domanda media che fino a quel momento hanno trovato una risposta nel mercato legale della vendita e dell’affitto.

Il mutamento dell’abusivismo, nelle sue componenti strutturali, è confermato dallo stesso Sindacato borgate romane che in un documento del 1973 segnala come “… in questi ultimi mesi le lottizzazioni abusive sono dilagate, e gli speculatori hanno avuto completamente mano libera; decine di nuove borgate sono sorte senza controllo e senza alcun intervento del Comune, malgrado le ripetute promesse, in terreni destinati dal piano regolatore a verde pubblico e servizi, a zone “167”, a zone di espansione E1, a zone H, o vincolati a rispetto o protezione di falde idriche. Al dilagare delle lottizzazioni corrisponde sempre più un intervento edilizio di tipo speculativo: ville di lusso, attività commerciali, palazzine destinate all’affitto o alla vendita. Questo tipo di costruzione rappresenta ormai la maggioranza dell’edilizia abusiva, e non ha più nulla a che vedere con l’abusivismo di necessità e con le case fatte dai lavoratori per sé o, al massimo, per i loro familiari…” Impressionanti sono i dati che correlano questo documento, da cui risulta che solo nel quadriennio 1969-1973 vengono lottizzati 6.149 ettari per un totale di 52.242 lotti (di dimensione media intorno ai 1.200 mq) e 22.629.000 metri cubi costruiti.

A queste trasformazioni strutturali si associano quelle della tecnologia edilizia, che registra un evidente salto di qualità con l’introduzione di tipologie multipiano e l’uso delle strutture in cemento armato, assimilabili alle palazzine che caratterizzano la produzione legale. L’abusivismo, che fino alla metà degli anni Sessanta utilizzava sistemi di produzione fortemente tradizionali, comincia ora a servirsi di piccole e medie imprese che, emarginate dal settore legale ormai prevalentemente ridotto agli interventi nei piani di zona 167 (terreno di caccia delle grosse imprese), non trovano altro sbocco che le aree abusive.

È proprio la crescita in altezza delle borgate e la progressiva diminuzione delle sopraelevazioni e degli ampliamenti a favore di un processo costruttivo ultimativo danno il segnale inequivocabile della modificazione, evidentissima nelle parti “nuovissime” di Colle Mentuccia, Palmarola, Selvanera, Valle della Piscina, Montespaccato, Casalotti.

Ma non si può tacere che l’area dell’autocostruzione per un uso diretto dell’alloggio permane nonostante tutto, sia pure localizzata nelle zone più periferiche (l’abusivismo raggiunge negli anni Ottanta i confini del Comune di Roma ed in alcuni casi li oltrepassa, investendo aree dei comuni vicini), dove il prezzo dei lotti si mantiene a prezzi accessibili alle fasce di reddito più basso e la presenza prevalentemente di lavoratori edili ed operai consente la riproduzione del sistema costruttivo autogestito.

A Corcolle, Prato Fiorito, Passo Lombardo, Castelverde e in altre borgate, specialmente del settore Est, molti lottisti costruiscono tuttora in un regime di economia familiare ristretta, ricorrendo alla propria forza lavoro, utilizzando al massimo le risorse disponibili, e, malgrado le innovazioni tecnologiche, riproponendo modelli tradizionali di edificazione.

 

È proprio in questo periodo, mentre nell’abusivismo si fanno sempre meno riconoscibili gli elementi strutturali storici che lo hanno caratterizzato che prende forma l’intervento dell’amministrazione comunale di “perimetrazione e variante per il recupero dei nuclei edilizi sorti in difformità delle indicazioni di piano regolatore e consolidati, di rilevante interesse socio-economico” (delibera comunale n. 3372 del 30 luglio 1978).

Dopo annose lotte degli abusivi per essere riconosciuti, finalmente l’amministrazione avvia una politica di intervento nelle borgate: nel 1976, con la prima perimetrazione dei 55 nuclei edilizi consolidati e “spontaneamente sorti” deliberata con atto del 20 aprile 1976, n. 1163 (si ricordi il “naturalmente sorti” della delibera del 1935); nel 1977, con la seconda perimetrazione di aggiornamento dei nuclei (delibera del 29-30 luglio 1977, n.2985), ma soprattutto con il piano Acea (Azienda comunale elettricità ed acque) di intervento idro-sanitario per la costruzione degli impianti di acqua potabile e della rete fognante nelle borgate abusive.

Complessivamente rientrano nelle zone “O” della variante di piano regolatore circa 4.500 ettari con 18 mila edifici costruiti per un totale di 242 mila stanze. La densità territoriale è molto variabile: si passa dai 9-10 abitanti per ettaro di Selvotta e Case Rosse ai 171 abitanti per ettaro di Montespaccato, fino ai 199 di Colle Mentuccia, con indici medi fondiari che raggiungono i valori più alti (intorno ai 3,0-4,0 mc/mq) ancora una volta a Colle Mentuccia, Villa Spada, Casalotti, Montespaccato e Palmarola ed i più bassi (intorno agli 0,4-0,6 mc/mq) a Sprecamore, Selvotta, Valleranello e Porta Medaglia: altra conferma di come il processo abusivo si è diversificato all’interno dell’area metropolitana.

 

La variante delle zone “O” del 1978, a sedici anni dalla precedente sanatoria, fornisce un utile quadro delle dimensioni che il fenomeno abusivismo raggiunge a Roma negli anni Settanta. Ma la storia non è finita. Già nel 1977 un rilievo dell’Ufficio risanamento borgate del Comune di Roma, sulla base delle foto aree, individua 265 nuove lottizzazioni “scarsamente edificate” che nel complesso investono un territorio di oltre 4 mila ettari e che, come è facile prevedere, saranno la sede dello sviluppo dell’abusivismo degli anni Ottanta e molto probabilmente l’oggetto della prossima sanatoria.

Che le lottizzazioni siano continuate negli anni Settanta con lo stesso ritmo dei periodi precedenti, nonostante l’azione della magistratura diretta soprattutto a reprimere gli aspetti speculativi del fenomeno, è scontato, ma è significativo della diffusione dell’abusivismo il fatto che non sono più solo i grandi proprietari ad alimentare i frazionamenti illegali, ma anche e soprattutto i piccoli; non sarebbero altrimenti spiegabili le moltissime lottizzazioni di dimensioni intorno ai 2-3 ettari che caratterizzano la divisione fondiaria negli ultimi anni. In proposito merita citare le oltre trenta piccole lottizzazioni, al di sotto dei tre ettari, individuate nella XIII circoscrizione (nell’area compresa tra il Tevere e la Cristoforo Colombo) e le dieci, sempre al di sotto dei tre ettari, nella XX circoscrizione in particolare lungo la via Braccianense e la via Flaminia.