Giovedì 15 marzo 1962 (dalla prima pagina del Messaggero)

Le raffiche violentissime di vento che per tutta la giornata hanno sconvolto le strade di Roma, scoperchiando case, abbattendo alberi, pali e tralicci e trascinando per decine di metri grandi cartelloni pubblicitari strappati dai loro sostegni, hanno provocato una tragica sciagura in uno dei quartieri periferici della città: all’Acquedotto Felice, dove una donna e quattro suoi figli sono rimasti sepolti sotto le macerie di una baracca. La sventurata e tre dei bambini sono morti, schiacciati dai calcinacci, dalle lamiere e dai massi crollati: unica superstite una bambina di soli sei mesi che è adesso ricoverata in gravi condizioni al San Giovanni e che ha potuto salvarsi perché una trave s’è disposta in diagonale sul seggiolone arginando miracolosamente la pioggia delle macerie.

La disgrazia è avvenuta poco prima di mezzogiorno, quando già i Vigili del Fuoco erano al lavoro già da parecchie ore, per arginare la furia del “tornando” abbattutosi sulla città con un vento che ha raggiunto talvolta la velocità di 132 km/h. la baracca crollata faceva parte di un gruppo di costruzioni abusive -in gran parte in legno e lamiera- ed era stata presa in affitto per diecimila lire al mese dal manovale disoccupato Romano Colarossi di 31 anni. Ieri mattina il manovale era uscito, in cerca di lavoro, lasciando a casa la moglie Maria d’Angelo, nata 34 anni fa a Scerni in provincia di Chieti ed i quattro figli, Giulio di 10 anni, Mario di 6, Giancarlo di 4 e Rita di soli 6 mesi. La famiglia s’era trasferita nella baracca nel novembre dell’anno scorso, poco dopo la nascita della piccola Rita, poiché la casupola nella quale aveva abitato fino ad allora era squallida e priva di conforto. Non che la nuova baracca potesse considerarsi una casa vera e propria, ma almeno aveva un’apparenza più solida e un’aria più accogliente, con la sua cucina separata dall’unica stanza da un tramezzo in mattoni e un piccolo gabinetto.

E poi era addossata ai ruderi dell’antico Acquedotto Felice, al grosso e solido muro che con la sua mole sembrava promettere protezione contro il vento freddo delle notti di inverno e contro la pioggia. Ma è stato proprio il vecchio muro dell’Acquedotto a determinare la tragedia: investito dalle rabbiose raffiche di vento il torrione dell’Acquedotto al quale la casetta era stata addossata non ha resistito, s’è piegato ed è crollato. Era una specie di pilastro alto sei metri. Il crollo ha letteralmente schiacciato la casupola, che si è afflosciata come un castello di carte, sotto il peso dei massi e dei blocchi di mattoni del rudere.

Lo schianto ha gettato l’allarme tra gli abitanti di quell’agglomerato di baracche, che sono corsi subito verso il mucchio di macerie. Sapevano che Maria Colarossi era in casa e con lei i bambini. Sono stati momenti drammatici, agghiaccianti. Scavando con le mani, con attrezzi di fortuna, spostando a braccia i grossi macigni che avevano travolto la casupola, gli uomini e le donne accorsi hanno cercato di raggiungere i corpi degli sventurati, nella speranza che qualcosa potesse ancora essere fatto per loro. Mentre le macchine dei Vigili del Fuoco accorrevano a sirena spiegata, dei soccorritori hanno trovato la bambina, Rita, ancora seduta sul suo seggiolone, con il volto coperto di sangue. La bambina era ancora viva, grazie ad una delle travi che nel crollo era rimasta infissa sul terreno, in diagonale, formando una specie di ponte che aveva impedito che i massi e le macerie travolgessero il seggiolone.

Tratta in salvo la piccola Rita che a bordo di un’ambulanza è stata immediatamente trasportata al San Giovanni, i Vigili hanno proseguito il febbrile lavoro di ricerca tra le macerie. Uno dopo l’altro, i corpi dei tre sventurati bambini e della madre sono stati estratti dal mucchio di detriti. Martoriati, impastati di polvere e sangue, i tre bambini davano ancora segni di vita. L’ing. Pandolfi ed il vice comandante dei Vigili ing. Rosati che dirigevano il lavoro, hanno disposto l’immediata partenza delle ambulanze, che hanno attraversato le strade della città alla massima velocità consentita. Ma tutto è stato inutile. Giulio, Mario e Giancarlo Colarossi sono spirati durante il tragitto, prima ancora che l’ambulanza che li trasportava riuscisse a varcare il cancello del San Giovanni.

Pochi minuti dopo, i Vigili hanno estratto dal mucchio di macerie il corpo di Maria Colarossi. La povera donna era rimasta uccisa sul colpo. La salma è stata composta in una saletta vicina alla Cappella mortuaria dell’ospedale, accanto ai corpi dei sui tre bambini.

Romano Colarossi, lo abbiamo detto, non era in casa. Uscito verso le 8 del mattino, per cercare lavoro in uno dei tanti quartieri che si aprono lungo la via Appia, è tornato soltanto verso le 14. Era stanco, aveva fame, ed era anche triste perché non gli era riuscito di trovare un posto. I vicini dicono di lui che è un buon padre e un buon marito, che ha sempre cercato di aiutare la moglie, ed anche il trasferimento nella baracca più confortevole (per la quale pagava diecimila lire al mese alla proprietaria Angela Balzani) era stata una prova d’affetto per i figli, poiché nelle sue condizioni non poteva permettersi di spendere anche quella cifra in più.

Davanti all’agglomerato di baracche dell’Acquedotto Felice il manovale ha trovato ad attenderlo il padre Reginaldo, di 70 anni e, mentre si avvicinava ha visto un capannello di gente e le macchine dei Vigili del Fuoco. Hanno cercato di nascondergli tragica realtà, poiché il Colarossi è malato di cuore e soffre di un’affezione polmonare, ma quando si è trovato di fronte a quello che restava della sua baracca, un mucchio di sassi, lamiere contorte, travi e pochi mobili a pezzi, il Colarossi ha capito che una tremenda sciagura lo aveva colpito. Invano il padre e gli amici hanno cercato di recargli conforto. Il manovale ha voluto raggiungere subito l’ospedale dove solo la piccola Rita lo attendeva ancora.

Le condizioni della bambina sono gravi, ma i medici stanno facendo tutto il possibile per strapparla alla morte.

Romano Colarossi, stroncato da un dolore che non può trovare consolazione, s’è inginocchiato accanto ai corpi straziati della moglie e dei suoi tre maschietti ed ha rotto in un pianto dirotto.