Albicocco (Prunus armeniaca) 


"Vai laggiù a legare quelle albicocche che pendono:

come figli ribelli piegano il padre

sotto il peso della loro prodigalità.

Metti un sostegno ai rami che si curvano.

Vai, e come un carnefice

taglia la testa ai rami che crescono troppo in fretta

e appaiono alteri nel nostro Stato

Tutti devono essere uguali nel nostro governo"

(W.Shakespeare, Riccardo III)


Il nome scientifico dell'albicocco (Prunus armeniaca) contiene un errore. Deriva, infatti, dal fatto che sia Plinio il Vecchio che Columella chiamano, nelle loro opere letterarie, i frutti dell'albero armeniaci, individuando nell'Armenia la regione di provenienza. Ma l'origine della pianta è quasi sicuramente diversa. Nelle montagne del (Tien Shan) nelle regioni centrali dell'Asia, l'albicocco ancora oggi cresce selvatico, dando piccoli frutti, acidi ma commestibili. La Cina è quindi, quasi sicuramente, il primo posto dove fu coltivato. Se ne trovano citazioni scritte già a partire dal 2.200 a.C. Le prime prove certe di una sua coltivazione nel Vicino Oriente risalgono invece solo al primo secolo a.C.

Più "poetica" è invece l'origine del nome italiano. Nella letteratura latina l'albicocco è conosciuto come malum praecox in virtù del fatto che la sua fioritura e la maturazione dei frutti avvengono tra la primavera e l'inizio dell'estate. Al barquq, il termine con il quale gli arabi hanno tradotto quello latino, è passato alle lingue moderne.

Suggerimento bibliografico Edgar Hilsenrath, La fiaba dell'ultimo pensiero. Biblioteca Guglielmo Marconi (via G. Cardano, 135).

Albicocco a via Anicio Paolino