19. Parco di Tor Fiscale. Canna. Phragmites australis (GRAMINACEE)

“Tommaso e Irene, coi panni tutti inguazzati per l’umido, andarono piano giù per il viottoletto, lungo il canneto. Tommaso sentiva sempre più freddo, e tossiva, infognandosi: ma ormai era deciso che dovevano andare in palude, e così doveva essere: non ci pensava manco per niente a farne a meno. Arrivarono in un punto dov’erano soli, e si sedettero s’un sopprosso umido fracico d’erba alta, in mezzo alle canne inerte come travi, con le fogliacce sbrillentate. Come furono seduti, Tommaso ristrinse per i fianchi Irene.”

 (P.P.Pasolini, Una vita violenta, Garzanti 1959)

 

“Vendesi canne”. Ancora oggi in alcuni quartieri di Roma, è possibile vedere questo cartello. I fusti duri e rigidi che persistono per tutto l’inverno formano, infatti, il materiale ideale per costruire tetti di paglia. Anche le foglie, larghe e coriacee, sono utilizzate allo stesso scopo. Eppure da sempre i canneti sono individuati come simbolo di degrado. Si tratta, senz’altro, di un caso di “trasposizione”. Crescendo, infatti, i canneti, per le loro caratteristiche biologiche, tipicamente, sulle spallette dei corsi d’acqua, si associa il degrado che spesso caratterizza tali zone, proprio per la loro marginalità, alle innocenti canne, che con le loro grandi infiorescenze erette, di peli bianchi e segosi e il loro agitarsi al vento, potrebbero essere un fattore di abbellimento di molte aree. Del resto “l’erba delle Pampas”, Cortaderia selloana, che abbellisce molti giardini, ha infiorescenze simili ed è strettamente affine alla canna.

Epoca di fioritura: estate - autunno

Dove trovarla: Sulla via Tuscolana, all'altezza del grande arco che permette di superare l'acquedotto Felice e conduce verso il Quadraro, guardando sulla destra, si può vedere quella che era una chiusa dell’Acqua Mariana (se si guarda con attenzione si possono ancora vedere le ruote di regolazione). Il rivo dell’Acqua Mariana, scorreva sotto il suolo, parallelamente agli acquedotti. Fatto costruire da papa Callisto nel 1120, quando gli acquedotti non funzionavano più per la mancanza di manutenzione o per le distruzioni barbariche, il rivo riportò a Roma l’acqua delle sorgenti Tepula e Iulia, fornendo, nello stesso tempo, forza motrice ai mulini del Laterano e del Circo Massimo.

Il canale, a cielo aperto, ad eccezione di un tratto di 940 m presso Casal Morena, dove si utilizzò il preesistente condotto sotterraneo dell’acquedotto Claudio, seguiva il crinale dello spartiacque tra il bacino idrografico del Tevere e quello dell’Aniene, fiancheggiava il casale di Roma Vecchia (passando sopra i basoli dell’antica via Latina), procedeva per vicolo dell’Acquedotto Felice, rasentava via del Mandrione, scendeva per via della Marrana, proseguiva per via Tuscolana e piazza Re di Roma, lambiva le Mura Aureliane da Porta San Giovanni a Porta Metronia, scendeva per via Druso, percorreva la Passeggiata Archeologica, per confluire nel Tevere, dopo il Circo Massimo.

Il nome “marrana”, usato nel medioevo perché il rivo incontrava, lungo il percorso, un fondo indicato come “maranus”, si trasformò in “acqua Mariana” nel Rinascimento; mentre con la parola marana si identificarono genericamente tutti i fossi del suburbio di Roma.

La presenza della Marrana modellò l’assetto del territorio. Lungo il suo percorso, sorsero orti, vigne e ville, fontanili, ma anche piccoli insediamenti artigianali e manufatturieri che sfruttavano la forza dell’acqua: mulini, segherie, cartiere, valcherie (o valche), impianti per la lavorazione dei tessuti.

In particolare, su via della Marrana, furono edificati alcuni molini, alcuni scomparsi e altri trasformati in sede di uffici, o in miniappartamenti.

L’acqua Mariana, che servì anche ai vignaioli dei Castelli per inviare a Roma botticelle di vino di contrabbando senza pagare il dazio (operazione che il governo tentò di impedire, costruendo uno sbarramento costituito da una griglia metallica che ha poi dato il nome alla località “la Ferratella” nei pressi di Porta Metronia), perse progressivamente molte delle sue funzioni a causa dell’introduzione a Roma dell’elettricità (1909), che soppiantò gradualmente l’uso dell’energia idraulica.

La Marrana sparì a seguito dell’urbanizzazione dei quartieri Appio e Tuscolano: nel corso degli anni, infatti, fu progressivamente coperta all’altezza dei vari tratti da edificare e, nel 1957, fu definitivamente deviata, dopo il Casale di Roma Vecchia, per farla confluire nel fiume Almone, che si immette nel collettore di Roma Sud. Il segno del suo recente passaggio è tuttora testimoniato dalla presenza di numerosi canneti lungo gli Acquedotti, presso via del Mandrione e vicino Tor Fiscale.